Estratto dal volume Lumina
«Io parlo in questa lingua che passerà». Il Virgilio di Zanzotto
DOI: 10.53136/97912218196496
Pagine: 129-140
Data di pubblicazione: Giugno 2025
Editore: Aracne
Virgilio è, dopo Dante e Petrarca, l’autore che più ha contribuito alla formazione del poeta di Pieve di Soligo Andrea Zanzotto (1921-2011) e che più ritorna nei suoi scritti poetici e saggistici in forma di citazione, eco e oggetto di studio anche a distanza di anni. Lungo sessant’anni di raccolte ufficiali, la relazione con il poeta latino emerge a partire dalla silloge Vocativo (1957) di cui il presente articolo intende analizzare Bucolica, componimento la cui lettura ritrova numerose affinità con il modello, aprendo l’idillio del mondo pastorale ai dolori e alle speranze della storia contemporanea. Tale analisi viene condotta alla luce di tutta la produzione zanzottiana fino alle ultime sillogi, pubblicate negli anni Duemila, dove a ricomparire è l’immagine dell’agellus virgiliano, non più come Arcadia – ideale communio poetica per il poeta veneto –, ma come giardino (κῆπος) che custodisce le efflorescenze delle lingue e la memoria della Storia, la cui violenza il latino sa dire, pur sempre rischiando di scomparire.
After Dante and Petrarch, Virgil is the author who most contributed to the formation of Pieve di Soligo poet Andrea Zanzotto (1921-2011) and who mainly recurs in his poetic and critical essays in the form of quotation, echo and object of study even years later. Throughout sixty years of official collections, the relationship with the Latin poet emerges since the sylloge Vocativo (1957) whose poem Bucolica is to be analyzed in the present article, a composition in which several affinities with the model can be found, starting with the opening of the pastoral world’s idyll to the sorrows and hopes of contemporary history. The analysis is conducted considering Zanzotto’s entire production up to the latest sylloges, published in the 2000s, where the image of the Virgilian agellus reappears, no longer as Arcadia – an ideal poetic communio according to the Venetian poet – but as a garden (κῆπος) preserving the efflorescences of languages and the memory of history, whose violence Latin language can tell, though always being at risk of disappearing.