L’Essere di Parmenide (515-450 a.C.) non è suddiviso in terra, acqua, aria, persone, animali, piante; esso è un’enorme massa sferica di sostanza omogenea, isodensa, continua, indivisa, sempre identica, immobile, eterna, che costituisce il cosmo e lo riempie. Questa visione, difficilmente condivisibile tra gli scienziati del nostro tempo, apre comunque la prima via, quella della ragione o del pensiero, che persuade e svela la vera natura del reale. Mentre, la seconda via, quella dell’esperienza umana o dell’abbandono ai sensi, è ingannevole e contraddittoria.
Ciò che esiste è soltanto l’Essere. Questo Essere, che è unico, viene percepito dagli esseri umani come spezzettato in molteplici cose: «A questo unico Essere saranno attribuiti tanti nomi quante sono le cose che i mortali proposero, credendo che fossero vere, che nascessero e perissero, che cambiassero luogo e mutassero luminoso colore». In realtà «tutte le cose sono uno e quest’uno è l’Essere».
Dobbiamo molto a Parmenide per aver aperto la nostra mente al razionale, alla ricerca della verità come momento unificante della stessa percezione scientifica, che è diversificata e stratificata, manifestandosi con numerosi e diversificati livelli di interpretazione e dettaglio. Questa prospettiva consente al pensiero di osare nel mondo del possibile, purché dimostrabile, che è il preludio essenziale alle nostre proiezioni scientifiche, dalle ipotesi alle dimostrazioni.
A questa riflessione s’ispira la Collana del Seminario di Storia della Scienza, Centro interuniversitario di ricerca nato dalla collaborazione dell’Università di Bari, dell’Università del Salento, dell’Università del Molise, dell’Università della Basilicata, del Politecnico di Bari e dell’Università di Foggia.