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Human trafficking in the Artificial Intelligence Era

La sfida dell’intelligenza artificiale al diritto penale
DOI:  10.53136/97912218182154
Pages: 57-62
Publication date: April 2025
Publisher: Aracne
Qualcuno potrebbe domandarsi perché di un saggio sulla IA in campo penale, dato che stiamo trattando di come l’IA possa essere chiamata ad un sostanziale aiuto contro il traffico umano. Ma la domanda, assolutamente lecita, ci fa riflettere subito sul tema conseguente; un reato scoperto da un sistema di IA, o un colpevole individuato per il suo reiterare di certi comportamenti delittuosi può poi considerarsi alla stregua di un reato o di un colpevole, per esempio di tratta umana, individuato e perseguito con metodi di indagine tradizionale? Che quello tra IA e scienza penalistica sia un rapporto destinato a un vorticoso sviluppo, non foss’altro che per colmare il ritardo accumulato tanto sul piano della riflessione teorica quanto su quello legislativo, è confermato dal recente fermento normativo, attestato da recenti provvedimenti di matrice sovranazionale come per esempio il Regolamento europeo (c.d. IA Act), che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale e modifica alcuni atti legislativi dell’Unione, focalizzando l’attenzione su sistemi di IA “ad alto rischio” e sull’individuazione degli obblighi e delle responsabilità che dovrebbero essere poste in capo ai fornitori dei sistemi stessi. Uno dei punti più controversi della riflessione investe il possibile coinvolgimento di un sistema di IA quale autore di un reato. Gli esempi non mancano e sono tutti abbastanza noti: dai droni capaci di uccidere per le strade urbane (come avvenuto nella città di Dallas nel luglio 2016), alle auto senza conducente coinvolte nella causazione di incidenti a danno di cose o persone (è quanto accaduto nel marzo 2018 in Arizona), etc. Vi è tuttavia un’ipotesi più complessa e ardita, che chiama in causa questioni più generali, quasi filosofiche: può un sistema di IA assumere la veste di autore del reato? E quali sono i margini di una possibile responsabilizzazione della macchina? Per capire la peculiarità e complessità del tema ci dobbiamo porre alcune domande: È ipotizzabile una colpevolezza robotica, in assenza, fra l’altro, di requisiti certi quali l’autocoscienza, il libero arbitrio, l’autonomia morale? Si può parlare di “capacità di intendere e di volere” in relazione a un software o configurare in capo ad esso una colpa o addirittura un dolo? Ancora: quali sanzioni potranno essere comminate a tali sistemi? Quando gli interrogativi superano le certezze, l’unica certezza è che occorre muoversi con cautela. Il che, tuttavia, non giustifica la sottovalutazione del tema: se il diritto penale vuole continuare ad assolvere il proprio ruolo, deve mettersi nelle condizioni di affrontare consapevolmente le sfide, complesse ma ineludibili, dello sviluppo tecnologico.
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